Articolo psicoterapia Sabrina Piccoli - psicologo Bergamo

LA NARRAZIONE DELLA PROPRIA STORIA COME STRUMENTO DI CURA ALL’INTERNO DEL PERCORSO DI PSICOTERAPIA

All’interno di ogni persona c’è una storia che è frutto di scelte, relazioni, emozioni, eventi che la rendono unica.

La scrittrice Karen Blixen disse:

“Tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi”.

IN CHE MODO LA NARRAZIONE DELLA PROPRIA STORIA PUO’ DIVENTARE UNO STRUMENTO DI CURA?

La persona entra nello studio di psicoterapia. Si siede. Trattiene il fiato. Osserva. Percepisce di essere accolta. Respira, ora si, sente di poter respirare. Può concedersi il tempo di “stare”, può scegliere il silenzio, può scegliere di raccontare. Per ogni silenzio, per ogni parola, lo psicologo ascolta rispettoso dei tempi e curioso di quella storia così unica che sta per ascoltare.

Lo psicologo ascolta e partecipa ponendo domande che accompagnano la persona a narrare la propria storia e ad attribuire un significato alle scelte fatte, alle emozioni vissute, ai ricordi annebbiati, alle parole non dette.

Nella nostra vita non abbiamo la possibilità di tornare indietro nel tempo ma abbiamo la preziosa possibilità di ripercorrere le nostre esperienze attraverso il nostro racconto e l’ascolto attivo e partecipe dell’altro. Questa condivisione ci offre la preziosa possibilità di comprendere alcune vicende osservandole da nuovi punti di vista, di accettare alcune scelte fatte nel passato anche se oggi non le condividiamo più, di guardarci con occhi dolci osservando tutta la strada che abbiamo percorso.

Narrare la propria storia all’interno di un percorso di psicoterapia, non è un semplice resoconto dei fatti accaduti ma è un atto creativo di costruzione, modellamento e creazione: narrare significa dare origine ad un racconto nuovo che, nel momento in cui viene condiviso, crea collegamenti, apre a nuovi significati e quindi a nuove possibilità. Raccontare richiede lo sforzo di tradurre in parola certi ricordi che magari una parola non l’hanno mai avuta perchè mai li abbiamo raccontati. Dunque raccontare implica scegliere le parole che sentiamo più adatte, dare rilievo a certi avvenimenti rispetto ad altri, ricordare, collegare, porsi domande: per questo motivo raccontare è un atto creativo, di costruzione.

Sono le storie che le persone raccontano – e si raccontano – della propria vita a dare il significato che loro stesse attribuiscono alle esperienze vissute.

Durante il percorso psicologico il terapeuta è un compagno di viaggio che accompagna la persona nella narrazione – e dunque ri-costruzione -della propria storia di vita, verso una maggiore comprensione del proprio passato e una maggiore consapevolezza del presente e dei passi futuri.

Articolo attacco di panico Sabrina Piccoli - psicologo Bergamo

IL VISSUTO DI SOLITUDINE NELL’ESPERIENZA DELL’ATTACCO DI PANICO

L’attacco di panico assume la forma di un disturbo che porta le persone a limitare le proprie esperienze nel tentativo di sentirsi al sicuro.

In questo articolo propongo una lettura dell’attacco di panico che va a toccare nel profondo il VISSUTO DI SOLITUDINE di cui è intrisa l’esperienza di vita delle persone che soffrono di questo disturbo. Questa lettura nasce dalla teoria dello psicoterapeuta Gianni Francesetti che ha rintracciato nei racconti delle persone che hanno sofferto di attacchi di panico un vissuto comune legato all’essersi sentiti “soli di fronte alle sfide del mondo”.

 

L’INCONTRO CON L’ATTACCO DI PANICO

Spesso il primo attacco di panico sopraggiunge improvvisamente in una vita che apparentemente procede nella norma (è ricorrente la frase:“è stato un fulmine a cel sereno”). La persona, sconvolta da questa esperienza, solitamente si reca in Pronto Soccorso o dal proprio medico poiché la sintomatologia correlata all’attacco di panico è vissuta prevalentemente a livello corporeo (palpitazioni, sudorazione, tremori, difficoltà respiratorie, “fame d’aria”, dolore al petto, nausea). Nel momento in cui gli accertamenti medici non rilevano problematiche fisiche, la sensazione può essere quella di non sentirsi compresi e riconosciuti nella propria sofferenza: “come è possibile che non abbia nulla se sto così male?” A questo punto è esperienza comune quella di iniziare a mettere in atto comportamenti volti ad evitare tutte quelle situazioni che potrebbero esporre al rischio di un nuovo attacco di panico.

Questo è il vissuto maggiormente comune con cui le persone arrivano in terapia, spesso dopo anni di esami medici e evitamenti, talvolta profondamente invalidanti e limitanti. 

DAL SINTOMO AL SUO SIGNIFICATO: COSA CI COMUNICA L’ATTACCO DI PANICO?

Le storie narrate dalle persone che soffrono di attacchi di panico sono varie ma ciò che le accomuna è il BISOGNO DI SENTIRE L’ALTRO come APPOGGIO e PROTEZIONE, bisogno che spesso non è stato ascoltato ed accolto.  Le persone che sperimentano attacchi di panico spesso non sono stati riconosciuti nel loro bisogno di accudimento, raccontano di essere stati “bravi bambini” e poi “adulti di riferimento per gli altri”, come se fino a quel momento non ci fosse stato lo spazio per esprimere le proprie fatiche e le proprie vulnerabilità. Quando in terapia si apre la possibilità di entrare in contatto con queste parti, le narrazioni che emergono sono quelle di “dare voce ad una parte di sé che non si credeva esistesse” e questo è possibile grazie alla relazione di fiducia che si può creare nello spazio e nel tempo della psicoterapia.

IN CHE MODO LA PSICOTERAPIA PUO’ APRIRE POSSIBILITA’ DI CAMBIAMENTO?

In psicoterapia paziente e terapeuta lavorano insieme per COMPRENDERE IL SIGNIFICATO DELL’ATTACCO DI PANICO ALL’INTERNO DELLA PROPRIA STORIA DI VITA per poi costruire NUOVI MODI per COMUNICARE IL PROPRIO BISOGNO DI SENTIRE L’ALTRO VICINO

E’ innanzitutto fondamentale creare uno spazio e un tempo per ascoltare e raccontare quel vissuto fino a quel momento taciuto. Il vissuto di solitudine che genera il timore di affrontare il mondo va accolto nel suo significato all’interno della storia di vita di quella persona: in genere il panico è collegabile a cambiamenti che assumono grande significato da un punto di vista identitario. Si può trattare di cambiamenti grandi o piccoli della vita ma che coinvolgono aspetti profondi della persona.

Le persone spesso esprimono in terapia il desiderio di “tornare come prima” e questo è molto comprensibile alla luce della sofferenza che l’attacco di panico porta con sé ma è importante riconoscere l’importanza di agire gradualmente. E’ essenziale creare un TERRENO SICURO  affinché sia possibile RIATTIVARE IL PROPRIO MOVIMENTO: IN PSICOTERAPIA SI LAVORA INSIEME NON PER IMPARARE A CAMMINARE SULLE ACQUE MA PER COSTRUIRE UN TERRENO SICURO SUL QUALE POGGAIRE I PIEDI.

Un primo terreno sicuro può essere la relazione terapeutica che è il lo strumento centrale e luogo di trasformazione di quei vissuti di solitudine.